Vincenzo

Nel mondo di Vincenzo tutto sembra trovare il proprio posto, le tendine a quadrettoni colorati all’interno della roulotte, il cadavere dell’ape sul pavimento con le formiche in religiosa fila per nutrirsi, le istruzioni per gli ospiti scritte con il colore del cielo sulle pareti bianche, i mestoli che pendono sicuri sul ripiano sporco di polvere di caffè.

Mentre stiamo facendo colazione Vincenzo si avvicina, un piatto di bruschette con i pomodorini del suo orto in mano, la semplicità del gesto con cui ce lo offre non lascia possibilità di replica né di rifiuto. Mangiamo le bruschette, lui gioca con la nostra bambina, Yasmin, e ci racconta che lui di bambine ne ha due, che hanno ventisette anni e vivono a Berlino. Sono mezze pugliesi e mezze giapponesi, gemelle di sangue e arieti di segno.

Da buon piastrellista, e appassionato agricoltore, la casa in cui vive Vincenzo se l’è costruita da solo, partendo dalla terra. Soltanto in seguito, sette anni fa circa, ci ha piazzato vicino due roulotte, satelliti bianchi con un portellone verde che si apre per i suoi ospiti- “ma solo d’estate, perché d’inverno ho altro da fare”, dice.
Qualcuno fa avanti e indietro tra magazzino e apiario in una tuta gialla antipuntura. “Nella mia vita mi sono innamorato tre volte”, si confida Vincenzo, “e ogni volta che tornavo in Italia da lunghi viaggi era per amore. Poi però finiva male, perché ho un carattere terribile.”

Eppure, sembra uno di quelli che il proprio posto lo trova ovunque, come gli oggetti del suo mondo. In sessantasei anni di vita lo ha trovato in Giappone, in Africa, negli Stati Uniti, ma anche vicino a dove è nato, in questa campagna a pochi chilometri da Conversano, in Puglia, dove “fino a una ventina di anni fa c’era il deserto” e dove ora, invece, la brezza che viene dal mare deve farsi strada, come lui, tra mandorli, peschi e oleandri, tra panni stesi ad asciugare, satelliti bianchi e persone.

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