Rimedio al frettoloso saluto al sole di stamattina mediante un accurato stretching della muscolatura oculare: allungo la coda dell’occhio, avida di curiosità, e capto uno spezzone della conversazione che la signora con gli occhiali seduta davanti a me, la stessa che leggeva un libro in inglese poco fa, sta intrattenendo su whatsapp con un numero non registrato sulla sua rubrica: “Adoro l’autobus! Mi ricorda quando da ragazza partivamo con i miei da Milano per Firenze” per poi continuare, nel messaggio seguente, con “e solo quando arrivavo a Firenze mi sentivo a casa.” Nei pochi messaggi successivi: “sono in un FlixBus pieno di ragazzi, sono la zia dell’autobus!”.
Basta una sbirciata irrispettosa ai movimenti lenti e ponderati con cui questa donna digita sullo schermo per farmi andare a genio la sua dolce vena nostalgica, e mi viene da chiedermi se sarei in grado, tra vent’anni, di definirmi la zia di un autobus senza provare, per tutti quei giovani nipoti, un pizzico di invidia.
Invidia nei confronti della mia generazione, in mezzo a cui solo talvolta mi sento a mio agio. La generazione dei passeggeri di questo FlixBus, trentenni che lavorano a Milano, tornano a casa in metro alle otto di sera, si cucinano qualcosa con tanto curry, escono a bere una birra o un moscow mule e poi, il sabato, siedono su un FlixBus per passare il weekend a casa.
Sul sedile davanti al mio, qualcuno legge Internazionale.
Tutti hanno il cellulare in mano, pure chi dorme. La sua presenza è molto più vitale di quella del bagno, visitato soltanto da tre persone nell’arco di tre ore. Per la nostra generazione, i bisogni più elementari sono differibili.
La ragazza accanto a me cerca frenetica la presa a cui attaccare il proprio iPhone. Furtivamente ora volgo lo sguardo al di là della mia spalla. Un’altra ragazza tiene un taccuino aperto e rilegge i pensieri che ha depositato su quelle pagine, riesco a cogliere una frase troppo elementare per sostenere la potenza espressiva che sprigiona.
HO
PIANTO
PER
AMORE.