Lingue nuove

Per me, imparare una lingua nuova è un’esperienza multisensoriale.

È una sfida con quanto c’è di innato nel mio cervello, con la mia lingua madre.
Chissà, forse si tratta di un’esternazione d’orgoglio, perché è la dimostrazione che si può pensare, parlare, a volte sognare, usando uno strumento che ci siamo “guadagnati” e che non ci è stato “regalato” -fermo restando che anche imparare a parlare la nostra lingua madre deve essere stato faticoso, anche se non ce ne ricordiamo.

Trovo appagante rendermi conto di capire la cifra che devo pagare al supermercato senza bisogno di spiare il monitor della cassa o di tentare di tirar fuori tutte le banconote che ho, cercando di acchiappare quella giusta, o poter sorridere alla battuta di uno sconosciuto davanti a me nell’autobus, o ancora capire una notizia alla radio, poter rispondere ad una telefonata senza panico, riuscire ad usare consapevolmente parole che, pur non significandomi niente, improvvisamente collego ad un’immagine.

Si dice che la personalità di ognuno di noi cambi a seconda della linguache stiamo parlando. Io direi, piuttosto, che parlare ciascuna determinata lingua riesca a slatentizzare lati così eterogenei e nascosti del nostro carattere che forse neanche conosciamo. È questo forse l’aspetto più eccitante, sorprendente, ma anche complicato di quando si decide di imparare una lingua nuova.

Perché non si tratta né di imparare a memoria il paradigma di un verbo, né di praticare davanti allo specchio i movimenti necessari a pronunciare un suono nuovo. Sì, c’è anche quello, senza dubbio. Ma, in primo luogo, si tratta di essere disposti a mettersi in gioco, abbattendo le barriere che piano piano abbiamo costruito nel nostro cervello, secondo il fisiologico processo che trasforma la mente spugnosa e plastica di un neonato in una cassettiera di legno che può essere più o meno ordinata, più o meno spaziosa, ma che sicuramente sarà, con il passare del tempo, sempre più rigida e definita.

In secondo luogo, consiste nell’abbandonare il “porto sicuro” della lingua madre, nell’accettare con umiltà la propria difficoltà ad esprimersi -che, tra l’altro, può trasformarsi nella invidiabile ed assai virtuosa risorsa di riuscire a selezionare ciò che si dice.
Consiste nel dover confidare che la persona con cui parliamo ci conceda pazientemente la sua attenzione fino a quando abbiamo finito di esprimere ciò che pensiamo -che può voler dire dover avere la fortuna di trovare un interlocutore molto, ma molto paziente.
Consiste nel rischiare di fare tante figure del cavolo, di dire altrettante cose che non si pensano e di sembrare stupidi anche nel contesto di situazioni e conversazioni quotidiane ed elementari.

Quelli che sto per elencare sono alcuni suggerimenti, frutto della mia esperienza o di quella di altri, che io cerco di tenere a mente quando decido di imparare una lingua nuova, premettendo che si tratta di consigli facilmente intuibili e, ovviamente, opinabili.

1) Indipendentemente dalla finalità con cui lo si fa, l’apprendimento di una nuova lingua è, in sé e per sé, un esercizio mentale completissimo, un po’ come fare le parole crociate. Se si ha voglia e tempo, perché privarsi del gusto di farlo?

2) Convincersi che non c’è niente di male nel dire “non ho capito” (ma imparare a dirlo correttamente nella lingua in questione), e che se ci si trova spiazzati quando tutti ridono ad una battuta, non c’è neanche niente di male nel rimanere impassibili (in ogni caso, molti staranno ridendo per finta).

3) Se non si ha la possibilità di trasferirsi per un periodo di tempo nel Paese dove si parla quella determinata lingua, fare in modo che, comunque, l’apprendimento della stessa segua un processo analogo, concentrato più sull’ascolto -ad esempio, usando video su YouTube, film, canzoni–  che sulla memorizzazione di noiose regole grammaticali. Così abbiamo imparato la nostra lingua madre, e in teoria “squadra che vince non si cambia”. Si dice che per far propria una parola sia necessario ascoltarla almeno trenta volte, nel contesto di un discorso di cui si comprenda almeno l’80% del contenuto. Sembra tanto, ma probabilmente in un’ora di conversazione una parola di uso comune viene ripetuta molto più di trenta volte. Last but not least, è importantissimo ripetere ciò che si ascolta.

4) Mettersi, ogni tanto, nei panni del nostro interlocutore madrelingua. Io, per esempio, quando ricopro questo ruolo in una conversazione, sono sempre affascinata ed incuriosita dal modo di parlare del mio interlocutore straniero, e mi piace pensare che, invertendo i ruoli, sia lo stesso. Riuscire a mantenere questo atteggiamento mentale è, a mio parere, tanto tranquillizzante quanto motivante.

5) Fidarsi di se stessi, anche se non si è convinti che la parola che stiamo per usare sia quella giusta. Buttarsi, tanto prima o poi qualcuno ci correggerà.

6)Non perdersi d’animo quando sembra che non si facciano progressi. Ovviamente dipende dalla lingua in questione, ma spesso nell’apprendimento di una lingua si susseguono fasi abbastanza standardizzate: un primissimo momento di enorme difficoltà, ma compensato da una grande curiosità. Una seconda, più o meno lunga, fase di miglioramenti rapidi e notevoli, a cascata, che ci portano all’appagante consapevolezza di riuscire a conversare in una lingua di cui prima non riuscivamo a riconoscere neanche una parola. Infine, una fase di brusco rallentamento: è, infatti, il momento, sicuramente meno gratificante del precedente, dell’apprendimento di vocaboli di uso meno comune, del perfezionamento e della correzione di errori a cui probabilmente siamo già abituati.

7) Concedersi qualche bicchiere di vino in più per una giusta causa: è risaputo che la disinibizione alcolica contribuisca alla scioltezza della conversazione, e in una lingua straniera il tutto è ancora più evidente.

Detto questo, penso che altrettanto importante sia tenere a mente il famoso proverbio spagnolo, che evito di tradurre perché in italiano non farebbe lo stesso effetto. Ad ogni modo,  può essere facilmente traducibile sapendo che “cuna” significa “culla” e “cama” significa “letto”. Tale famoso proverbio recita così: “hay dos formas de aprender un idioma: en la cuna, o en la cama“.

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