La cosa bella di viaggiareviaterra è che poi la destinazione la desideri tanto ardentemente che non ti lascia spazio a incertezze, ripensamenti, desiderio di tornare sui tuoi passi con la stessa velocità con cui quei passi ti hanno condotto dove sei. Eppure, durante il viaggio puoi godere della serenità che ripensarci sia un tuo diritto, in ogni momento.
La cosa bella di viaggiareviaterra è il crescente peso dei chilometri che lentamente ti lasci alle spalle, e che senza far rumore ti alleggeriscono la mente da emozioni che possono essere seminate per strada.
La cosa bella di viaggiareviaterra è la lentezza con cui concedi alla tua mente di adattarsi, dolcemente e naturalmente, al cambiamento.
E poi, la cosa bella di viaggiareviaterra è che ti può capitare di partire da Modena alle 10 di mattina circa con Diana, una simpatica e tosta trentacinquenne italo-colombiana, assistente per disabili come professione e per traslocanti come conducente del suo furgoncino Ford Transit dove Tata, il suo cane, la fa discretamente da padrone; di arrivare a Monaco di Baviera intorno alle 16, ora di punta, per andare a prendere sotto casa altri quattro passeggeri dall’eterogenea composizione: Mihaela e Eliza, due allegre studentesse di Scienze Motorie, e Marianne, una signora sulla sessantina la quale, senza lasciar trasparire dal suo sorriso a comando neanche un briciolo dell’indignazione provocata dall’attesa prolungata, si è seduta al suo posto e ha piazzato su quello accanto la valigetta del quarto passeggero, il suo gatto, pagante prezzo pieno. Quando le ho chiesto gentilmente se fosse possibile girare la valigetta, pensando -ma non dicendo- che rubare un po’ di spazio al gatto per guadagnarlo io e lei non sarebbe stato poi così sgarbato, mi ha guardato sorridendo e dopo un secondo ha sferrato il colpo: “NEIN“.
Ti può capitare di bucare una ruota, in autostrada, intorno alle 22, con dodici ore di viaggio in attivo e a circa 200 km dalla destinazione, ma di avere la fortuna che una delle passeggere possa chiamare soccorso con la padronanza di una madrelingua e, soprattutto, che sia in possesso della tessera ADAC (Allgeimener Deutscher Automobil Club), compagnia che offre servizi per automobilisti e motociclisti -soprattutto se si viaggia in auto in Germania, mi sembra di capire che convenga esserne membri, per la modica cifra di circa 20 euro l’anno, visto che poi tutti i servizi sono totalmente gratuiti.
E poi, alla fine, la vida te da lo que necesitas: penso che una pausa di due orette era quello di cui avevamo bisogno. Infatti, mentre questo angelo dell’ADAC venuto in nostro soccorso sollevava il furgoncino stracarico, mantenendo la posizione da lavoro nonostante camion e macchine lo sfiorassero sul ciglio della strada a 150 km/h, e resistendo stoicamente al sudore da tutina gialla, al freddo e alla pioggia, Mihaela aveva tempo di esercitare il suo italiano deliziandoci con un impeccabile Lucio Battisti e Diana quello di riposare nel lettino sul retro del furgone. Tanto che per gli ultimi 200 km eravamo fresche come rose, Tata rivendicava il proprio posto e Diana dava sfogo al suo ben nascosto lato trash canticchiando Shakira mentre trionfalmente, intorno alle 4 di notte, entravamo a Berlino. Unico passeggero imperturbabile e perennemente silenzioso, il gatto.
Sono state venti ore così piene, intense, così impregnate di emozioni diverse che si susseguivano a una velocità disarmante che, anche se non saprei come poter definire un viaggio, ho la sensazione che per me questo lo sia stato nel suo senso più profondo e intimo.
Piccolo consiglio di lettura: “Mondoviaterra” di Eddy Cattaneo, 467 giorni e 108.000 km, senza bucare il cielo.