P come Pensieri (a Puntate)

Fin da quando ero bambina trova posto, nello spettro delle sensazioni che il mio animo è in grado di provare, quella di quando al mattino, durante la confusa fase ricombinante del risveglio, percepisco che una qualche novità ha segnato la giornata precedente e che questa stessa novità è abbastanza definita da non macchiare la piacevole sensazione che ne deriva con l’ansia dell’incertezza, abbastanza ordinaria da non concedersi alla memoria con immediatezza, e abbastanza nuova da continuare a farmi godere dell’entusiasmo che ne deriva. Se dovessi descrivere questa sensazione penso che le attribuirei la forma circolare di una freschezza rassicurante, i cui contorni sono ormai cristallizzati nella mia memoria, fissi e inconfondibili. Quando mi capita di riconoscerli, sempre al mattino, amo cullarmici, mentre procedo a tentoni nei canali tortuosi della mente, alla ricerca della sostanza di riempimento di quei contorni: una ricerca osservatrice ed accogliente, che si fa avanti con la delicatezza di un prestigiatore che teme di far scoppiare la sua bolla di sapone deludendo le aspettative proprie e degli spettatori.

Stamani sono tornata a sperimentare il piacevole ed enigmatico benessere che questa sensazione mi suscita, cosa rara nella monotonia della quarantena: assonnata, entravo in cucina per prepararmi il caffè, e la sostanza di riempimento della mia freschezza tranquillizzante assumeva la forma dei nuovi elementi di arredo con cui ieri abbiamo decorato casa. Subito dopo, però, nell’accorgermi che il calendario appeso alla parete era ancora fermo a marzo, il risveglio si è fatto di colpo più tagliente.

L’Immobilismo degli ultimi due mesi si è palesato su quella pagina di calendario, e con esso l’angosciante terrore che la mancata registrazione (in maniera sistematica, e non soltanto a mo’ di riflessioni e appunti personali) di ciò che stiamo vivendo potesse condannare questo periodo storico ad un pericoloso oblio. Mi sono domandata più volte quale potesse essere la veste più adeguata per poter registrare un argomento la cui unica caratteristica indiscutibile sembra essere la modalità inaspettata e nuova -ben lungi dalle novità rassicuranti che mi addolciscono i risvegli- con cui ha sconvolto il mondo.

Esiste una modalità corretta per riflettere su un momento storico in corso di svolgimento? Qualsiasi riflessione si rivela parziale, qualsiasi argomentazione traballante, qualsiasi tentativo di dare risposta ai molteplici quesiti che mi pongo, e che immagino ciascuno di noi si ponga, impossibile da portare a compimento. Forse, dunque, la modalità più corretta deve necessariamente esprimere, anche formalmente, l’inevitabile parzialità e frammentarietà con cui in questo momento deve procedere il pensiero.

Pensieri a Puntate.

Tra i vari brillanti esecutori di questo format mi viene in mente, oltre al genio di Zerocalcare con la sua Rebibbia Quarantine, l’illustratore e fumettista tunisino Othman Selmi con il suo Abécédaire (non raisonné) du COVID-19 en Tunisie! (di seguito il link). In un’intervista dei primi di aprile su Rai Radio 3, Othman Selmi descrive il suo Abecedario come un tentativo (decisamente ben riuscito, almeno nei limiti della parzialità di giudizio cui la pandemia ci condanna) di:

raccontare e storicizzare i problemi sociali che emergono tutti i giorni, esistenti già ampiamente prima dell’emergenza sanitaria, ma che soltanto ora ci piombano addosso. […] (Di questi problemi) siamo tutti responsabili, perché abbiamo accettato di assistere al declino del servizio pubblico senza opporci.

Link: https://www.behance.net/gallery/94964129/LAbcdaire-%28non-raisonn%29-du-COVID-19-en-Tunisie-

Mi approprio furtivamente, da Othman Selmi, tanto del sistema dell’abecedario come binario di scorrimento dei miei pensieri quanto della modalità non raisonné come tutela del diritto di deragliamento degli stessi.


A come…

Ansia, angoscia. Asimmetria. Ambiente (e ambienti). Annotare.

Annotare: la pandemia di Covid-19 passerà alla storia per la crisi globale (sia in termini di diffusione geografica che di ambiti di interesse) che ha innescato. Se non è giusto che la storia la scrivano i vincitori, non lo è neanche che siano (soltanto) i mezzi di informazione di massa, il cui dominio potenzialmente minaccioso si è rivelato con estrema chiarezza durante questi ultimi due mesi, a farlo. Annotare – sotto qualsiasi forma- ciò che stiamo vivendo diventa dunque, a mio avviso, uno strumento cui tutti possiamo (e dovremmo) ricorrere con l’intento di costruire una memoria collettiva quanto più completa e polifonica possibile.


B come…

Bare. Balconi. Bersagli. Bambini.

Bambini: una delle categorie più penalizzate, e forse inascoltate, del lockdown all’italiana. La delizia dell’età infantile divenuta croce per infanti e genitori. La meravigliosa democraticità della scuola pubblica stravolta dall’intrinseca natura discriminante della didattica a distanza, i cui risultati educativi dipendono, in larga misura, dalle risorse materiali (disponibilità di computer, tablet, idonea connessione a internet…) e umane (soprattutto per i bambini più piccoli, disponibilità di un adulto come supporto alla DAD) della famiglia. Ne parla proprio oggi Internazionale (https://www.internazionale.it/notizie/2020/05/03/chiusura-scuole-disuguaglianze):

nelle prime settimane di lockdown alcuni istituti statunitensi hanno riferito che più di un terzo degli studenti non si era neanche registrato alla piattaforma scolastica né tantomeno frequentato le lezioni. Le scuole delle élite, invece, vantano una frequenza vicina al 100 per cento. 


C come…

Covid-19. Curva (di Contagi). Corsa. Cura. Crisi. Carcere.

Carcere: durante la seconda settimana di marzo, le rivolte scoppiate in diverse carceri italiane come risposta alle misure restrittive imposte dal Ministero della Giustizia a fronte dell’emergenza sanitaria (che consistevano, tra le altre cose, nella sospensione dei colloqui con i familiari, dei permessi premio e del regime di semilibertà) avevano contribuito ad attirare l’attenzione pubblica sul sistema penitenziario italiano e sulle sue numerose criticità. Al primo posto della lista collochiamo -soprattutto in relazione alla necessità del distanziamento fisico dettata dal Covid-19- il sovraffollamento carcerario: a gennaio 2020, le strutture penitenziarie italiane ospitavano 60.885 detenuti a fronte dei 50.692 posti disponibili (dati da Internazionale). Ma questa non è la novità, benché si tratti di un dato importante da conoscere. La novità è la straordinaria inesorabilità con la quale la pandemia, e quindi la quarantena, ci hanno costretto a fare i conti con lo stato d’animo proprio di chi è deprivato della libertà personale. Credo che qualsiasi forma di detenzione si accompagni, per propria essenza, a drammi interiori che si manifestano con impotenza, insofferenza, oscillazioni emotive che, se protratte nel tempo, esiteranno frequentemente in sindromi di disfunzionalità psichica. Si tratta di sensazioni che noi, tuttavia, nel contesto di questa crisi globale, siamo portati ad accettare in virtù della loro condizione temporanea e, soprattutto, nella misura in cui costituiscono l’inevitabile pegno da pagare se vogliamo assolvere ai nostri doveri in quanto membri di una comunità e portatori di una responsabilità collettiva.

Oltre alla quarantena dell’anima, c’è quella del corpo. Gli infiniti contesti materiali (abitativi, lavorativi, familiari…) che incorniciano ciascuna forma di quarantena rendono ragione del fatto più che noto-oltre che piuttosto intuitivo- che (D come…) Disuguaglianze sociali preesistenti vengono, oggi, drammaticamente svelate e inesorabilmente esacerbate.

To be continued (forse)°

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