P come Pensieri (#2)

D come…

Il brainstorming con cui mi avvicino alla lettera D, a continuazione dell’ABC del post precedente (puoi leggerlo qui), mette drammaticamente alla prova le mie abilità elettive sorprendendomi con numerose opzioni valide e rilevanti:

  • potremmo dilettarci con un elettrizzante dibattito sui dispositivi di protezione individuale, e su come le mascherine abbiano conquistato il podio tra gli accessori must-have della stagione;
  • potremmo ironizzare sui tentativi interpretativi degli innumerevoli decreti preannunciati dalle dirette Facebook delle otto e mezza;
  • potremmo domandarci perché il distanziamento, misura di per sé necessaria e comprensibile sulla base delle più elementari leggi della fisica e dell’intuito, sia stato definito sociale e non fisico, privilegiando linguisticamente un aspetto forse non soltanto contingente;
  • potremmo, con riferimento all’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, riflettere su come la pandemia ci abbia violentemente costretto ad affacciarci alla possibilità che, nell’ambito della salute, le D di diritto e quella di dovere possano scivolare l’una sull’altra fino a sovrapporsi;
  • potremmo meditare sull’ambiguo rapporto tra stato di emergenza e democrazia, ed osservare, da un lato, come il primo può rappresentare terreno fertile per derive autoritarie multiformi in contesti in cui le seconde siano traballanti (emblematico per le nostre latitudini, ma non unico, il caso dell’Ungheria con Orbán) e, dall’altro, come l’equilibrio che si stabilisce tra le “nostre” democrazie occidentali e l’imposizione di misure estreme (in questo caso, il lockdown) sia inevitabilmente precario in quanto fondato su un ossimoro intrinseco.

Dovendomi attenere, però, alle autocratiche leggi che si ergono a regolamento della composizione di questo Abecedario non ragionato (in particolare, a quella che m’impone di scegliere e trattare, per ciascun gruppo di parole, un unico argomento), sfido la mia natura, incline a lasciarsi sopraffare da quell’effetto intorpidente, a tratti paralizzante, che un ventaglio di possibilità provoca nell’aprirsi, svelando in ciascuna sua stecca un’opzione diversa: di fronte a tante possibilità provo allora, memore di un tenero ricordo d’infanzia, a chiudere energicamente gli occhi per riaprirli soltanto a scelta compiuta. Dopo varie peripezie, il mio sguardo interno si posa su una stecca che cattura la mia attenzione più delle altre: soffio dolcemente su di essa per eliminare lo strato di polvere che l’appesantisce e vi leggo, incisi, i caratteri di

D di Donna.

E allora, nei giorni in cui la voracità dell’opinione pubblica viene saziata e, allo stesso tempo, come in un perverso circolo vizioso, alimentata dal clamore suscitato dai media riguardo la supposta conversione all’Islam di Silvia Romano, cooperante italiana rapita in Kenya da un’organizzazione terroristica nel novembre 2018, e liberata e rientrata in Italia alcuni giorni fa, credo sia inevitabile e giusto, pur nascendo questo Abecedario come riflessione sul presente momento storico (o forse proprio per questo), aprire una parentesi: all’interno di essa inscrivo, oltre al sincero rammarico che provo nel leggere alcuni incommentabili commenti da parte di una certa frangia della popolazione e (peggio ancora) di alcuni mezzi d’informazione, una breve riflessione sul concetto di confine tra dominio pubblico e privato.

In una distesa di terra in cui questi due domini siano delimitati da reti issate su dei pali, quei pali sono tutt’altro che neutri, ma rappresentano ancora, purtroppo, una norma canonizzata sulla base di coordinate (di genere, orientamento sessuale, fede religiosa, nazionalità…) specifiche; più ci si allontana dalla norma, più quei pali si indeboliscono, si piegano al vento, crollano a terra, e dietro ad essi si abbattono le reti che reggono, rendendo quel confine tra dominio pubblico e privato meno visibile e tangibile, meno valido e reale e, come diretta conseguenza, più vago e interpretabile. Semplificando al massimo, la conversione di S. R. appartiene al suo dominio privato, alla sua sfera intima e, ben più a monte dall’essere sprovvisti degli strumenti per poter avanzare congetture a riguardo, siamo privi del diritto di farlo.

Tornando agli originari intenti programmatici di questo Abecedario, tuttavia, abbiamo il diritto -e credo il dovere- di domandarci, rimanendo al di qua dei confini del territorio pubblico indagabile, come la condizione di svantaggio sociale di cui la donna è tuttora vittima ad ogni latitudine del globo sia stato confermato e rinvigorito dalla pandemia. Questo svantaggio si esprime in un continuum di leggi, atteggiamenti (verbali, linguistici, fisici) e abusi al cui capo estremo si colloca la violenza domestica, definita da Amanda Taub, in un suo editoriale per il New York Times, come un’infezione opportunistica nel contesto della pandemia, che prospera (anche) grazie alla presenza delle evidenti condizioni favorevoli determinate dal lockdown. Per avere un’idea quantitativa, il quotidiano La Repubblica riporta che

nei primi mesi di confinamento le aggressioni e i femminicidi sono già aumentati del 20% in tutti i 193 stati membri delle Nazioni Unite, e che se le misure di isolamento dovessero durare sei mesi si arriverebbe a 31 milioni di casi in più. 


E come…

Espressione (libertà di-). Estremismi (e il loro indice R0 >1). Economia. Equilibrio. Emersione.

Emersione: quello che la famosa (e famigerata) fase 2 ci permette di fare. Non avremmo immaginato, forse, che due mesi di lockdown avrebbero potuto plasmare le nostre abitudini fino al punto di autocondannarci, in alcuni casi, a rimanere ancorati e fedeli alle traumatiche ed eccezionali misure imposte dalla quarantena oltre misura. Da Internazionale leggo che:

i governi continueranno a emanare direttive sanitarie e a decidere come e dove riaprire le attività commerciali e le scuole, ma milioni di persone dovranno prendere milioni di decisioni piccole e grandi su come condurre la propria esistenza quotidiana, trovando un equilibrio tra l’accettazione del rischio, la serenità mentale e la necessità di un reddito.

Ecco: emergere non significa, a mio avviso, tornare alla normalità, intendendo per normalità la vita pre-pandemica (sarebbe da chiedersi se sia verosimile, oltre che corretto, farlo). Emergere significa (ri)emergere, facendo i conti con le difficoltà e i conflitti interiori che la ricerca di quell’equilibrio di cui sopra comporta, affidandoci con ragionevolezza a un istinto di sopravvivenza prudente ma vivace.


F come Fine (per ora?)°

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