Dove, quando, perché
Non occorre altro che uno sguardo disattento alla carta geografica per comprendere l’origine dell’espressione con cui lo Sri Lanka risulta noto ai più: una lacrima versata dall’India. Per fare congetture riguardo a tale epiteto, fantasticando sul fatto che non desterebbe biasimo, l’India, se rimpiangesse quella lingua di terra che fino a circa settemila anni fa la connetteva alla lussureggiante isola, occorre forse, invece, imbarcarsi per una undicina di ore di volo e respirare l’aria dell’antica Ceylon. Dal canto mio, benché la nuova moda in tema di travel-blogging mi suggerirebbe di accattivarmi i lettori esordendo con un incipit ingannevole, quale “Dieci motivi per cui non dovreste andare in Sri Lanka“, scriverò del mio viaggio in Sri Lanka mantenendomi sul seguente suggerimento, di gran lunga meno provocante e assai più tradizionale: andateci in Sri Lanka, e fatelo il prima possibile.

Trincomalee, Sri Lanka- aprile 2018
Le ampie spiagge idilliache che orlano la costa attirano surfisti da ogni parte del mondo, mentre le scalate e i pellegrinaggi ad alta quota strizzano l’occhio con aria di sfida agli amanti del trekking; nel centro del Paese, in quello che viene definito il Triangolo Culturale, le rovine delle antiche capitali delle dinastie regnanti singalesi stuzzicano la fantasia degli appassionati di storia. Per questi motivi, e molti altri, non credo di esagerare affermando che lo Sri Lanka è, potenzialmente, adatto a soddisfare le esigenze dei viaggiatori più variegati.
Nel mio caso, avvertivo il desiderio di provare nuovamente sulla pelle il calore di un’accoglienza intima e discreta che nessun luogo mi aveva offerto tanto quanto l’India e, incoraggiata dalla vicinanza geografica, ho pensato che lo Sri Lanka avrebbe potuto rappresentare un’opzione più che sensata.
Supporre che due settimane sarebbero bastate per farmi un’idea di un’isola la cui superficie corrisponde pressapoco a quella del Centro Italia si è rivelata una previsione decisamente ottimistica. Se è vero, infatti, che alla fine di qualunque viaggio provo la sensazione di non essere riuscita a placare la mia pulsione in maniera sufficiente, e non ricordo un ritorno non accompagnato da quel lieve sentore di amaro in bocca a rammentarmi quanti bei luoghi avessi dovuto scartare, e chissà mai se ci sarei potuta tornare, e che soltanto una settimana in più sarebbe bastata, è anche vero che alcune caratteristiche infrastrutturali dello Sri Lanka rendono gli spostamenti all’interno del Paese -specie se affidati quasi esclusivamente all’improvvisazione in loco, come nel nostro caso- particolarmente lunghi e a volte snervanti, benché in diversi casi avvincenti. Per un tragitto di novanta chilometri -come, ad esempio, quello da Colombo a Kandy- si possono impiegare sei ore: il mio consiglio è, dunque, quello di abbozzare un itinerario prima della partenza, di abbandonarsi alla contemplazione dei meravigliosi paesaggi durante i lunghi e imperdibili viaggi in treno e, soprattutto di non lesinare sulla durata del viaggio, che dovrà essere di almeno venti .giorni.
Non sarà difficile trovare il periodo appropriato per visitare il Paese: l’Equatore,

Nilaveli, Sri Lanka- aprile 2018
magnanimo vicino di casa, mantiene le temperature sull’isola pressoché costanti (26-30°C) tutto l’anno, mentre il clima, apparentemente complicato (due monsoni si alternano provocando piogge da novembre a marzo sulla parte orientale dell’isola e da maggio a settembre, indicativamente, su quella occidentale), è di fatto garanzia di successo per il turismo quasi dodici mesi all’anno. Nel nostro caso, la torrenziale pioggia che ci ha dato il benvenuto al nostro arrivo a Colombo ha dettato legge sul nostro itinerario: reduci da una primavera italiana particolarmente piovosa, e smaniosi di assaporare il lieve tepore del sole equatoriale, abbiamo deciso di dirigerci subito verso est, lì dove il Sole avrebbe dovuto splendere.

Trincomalee, Sri Lanka – aprile 2018
Il viaggio
Nell’ostello di Colombo, appena arrivata, ho scoperto grazie a una ragazza tedesca un’app con cui è possibile mappare grazie al GPS il proprio itinerario di viaggio. Una linea rossa traccia il percorso effettuato e per ogni tappa esiste la possibilità di condividere foto o pensieri; all’aprire la mappa, di volta in volta più inebetita dagli spesso illogici zig-zag della nostra linea rossa, mi convincevo che, dopotutto, il nostro itinerario rocambolesco, frutto di scarsa programmazione e frequenti ripensamenti, aveva una sua logica.
La decisione di muoverci da Colombo verso est e poi, solo alla fine del viaggio, verso la costa meridionale si è rivelata brillante. Iniziare il viaggio in Sri Lanka partendo dalle spiagge del sud, destinazione imperdibile per i surfisti nonché ottima base per il whale-watching, significa infatti, a mio parere, prendere contatto con una parte del Paese che poco ha a che vedere con l’autentico Sri Lanka: l’atmosfera hippie delle località balneari rievoca più la California che il Sud-est asiatico, e all’ingresso dei locali shabby chic di Galle il turista si sente a proprio agio nel leggere l’inflazionato monito “Keep calm and eat curry“. La visita alla costa meridionale può pertanto essere rimandata agli ultimi due-tre giorni di viaggio, senza lasciarsi sfuggire la divertente lezione di cucina da Mama’s a Galle -5000 rupie compresa l’ottima degustazione dei piatti cucinati e il libro di ricette (velatamente autoreferenziale).

Lezione di cucina da Mama’s, Galle, Sri Lanka- aprile 2018
La costa nord-orientale offre un incanto completamente diverso: a Nilaveli, a circa 10 km da Trincomalee, le spiagge sono popolate da bagnanti che, bramando sollievo dal calore tropicale, s’immergono in acqua vestiti di tutto punto, mentre cani randagi, vacche e volatili vari rendono l’ambiente poco adatto alle pratiche balneari mediterranee (una fra tutte, la borsa frigo da spiaggia). Da Nilaveli ci si può imbarcare per la vicinissima Pigeon Island per fare snorkeling tra pesci colorati e squaletti o semplicemente per perdersi nella natura selvaggia dell’isoletta. Consiglio vivamente di dedicare almeno mezza giornata a una visita a Trincomalee: il tempio induista Koneswaram, la

Trincomalee, Sri Lanka- aprile 2018
cui spiritualità emerge vigorosamente anche attraverso i suoi colorati eccessi e i suoi profumi esotici, rammenta a chi entra l’importanza della dimensione immateriale, mentre nella zona portuale i turisti possono socializzare con i vivaci bambini che giocano tra le case dei pescatori.
Il Triangolo Culturale, memoria dell’età d’oro dell’arte e dell’architettura singalesi, si sviluppa sulle pianure settentrionali, a nord di Kandy. Abbiamo optato per un giro in bicicletta tra il vasto e disorientante numero di monumenti e rovine di Anuradhapura, capitale dell’isola dal III secolo a.C. al 993 d.C. e una delle più grandi metropoli dell’Asia medievale (da Sri Lanka Rough Guides ed. Feltrinelli, 2016).

Anuradhapura, Sri Lanka- aprile 2018
Pur avendo apprezzato la riposante sensazione di poter pedalare in un luogo immune dal tipico caos delle città asiatiche, a volte insopportabile, e il magnifico tramonto dal monastero di Medamaluwa a Mihintale (a 12 km circa ad est di Anuradhapura), devo ammettere che quella di Anuradhapura è l’unica tappa che non ripeterei.
Tra gli innumerevoli siti di interesse del Triangolo Culturale, infatti, consiglierei con molta più convinzione Sigiriya, dichiarata patrimonio dell’umanità nel 1982. Il motivo principale per cui Sigiriya rappresenta un’attrazione tanto ambita è la famosa “roccia del leone“, un monolito di gneiss da cui la città prende il nome: raggiungerne la cima può essere faticoso e la scalata può risultare piuttosto affollata, specie se, come nel nostro caso, si tratta della settimana di festa nazionale per la celebrazione del Capodanno singalese, ma ai fini della suggestiva vista sulla campagna circostante di cui si gode dalla cima ne vale indubbiamente la pena. Il prezzo è di trenta dollari (nei posti turistici i prezzi sono indicati in dollari americani), ma si può anche

Sigiriya, Sri Lanka- aprile 2018
optare per la vicina roccia “not expensive“, dalla cui cima si osserva, con legittimo distacco, la brulicante folla sulla roccia del leone. A circa 15 km da Sigiriya in direzione sud-ovest troviamo Dambulla, cittadina famosa per i suoi templi rupestri: entrare nelle grotte semibuie stipate di statue del Buddha e decorate da squisiti affreschi offre un gradevolo ristoro fisico e mentale.
Ho volutamente deciso di dedicare l’ultimo spazio di questo elenco non cronologico per raccontare l’esperienza del pellegrinaggio al Picco di Adamo. Il rocambolesco -e a tratti terrificante- viaggio in autobus locali per raggiungere Dalhousie, che è la cittadina da cui parte uno dei percorsi verso la vetta, è stato il mezzo pienamente giustificato da un fine imperdibile: durante il pellegrinaggio di circa 7 km ci si rende dolcemente consapevoli di sentimenti che si alternano a una velocità esorbitante, ma tra cui, analogamente alla vetta (2243 mt), spiccano la meraviglia, l’ammirazione e il rispetto nei confronti di chi, per devozione o altri motivi, tale ascesa la compie a piedi nudi, o trascinandosi addosso il peso di un

Picco di Adamo, Sri Lanka- aprile 2018
infante in braccio, o di ottanta e più anni di vita sulle spalle. Benché svariate leggende correlate a diverse religioni -islamismo, induismo e cristianesimo- si contendano la spiegazione della presenza della famosa impronta sacra (Sri Pada) in cima alla montagna, l’ascesa alla cima è soprattutto un luogo di pellegrinaggio buddhista. Partendo dal percorso di Dalhousie (ne esistono molti altri, ma questo è uno dei più facili) intorno alle due del mattino si può star certi di ammirare la meravigliosa alba dalla vetta intorno alle sei.
Alba e tramonto sono quei momenti in cui tutto si appiana, l’oscurità della notte si addolcisce e il caos del giorno si acquieta. La ciclicità, naturalità e ripetitività di questi fenomeni ha su di me un potere rasserenante, ridimensionando i miei turbamenti e ricollocandoli al posto giusto all’interno dell’Universo. Un buon esercizio per il nostro epidemico antropocentrismo: qualunque cosa succeda, il sole continuerà a sorgere e tramontare su di noi, impassibile ai mutamenti dei nostri animi e della realtà.

Mirissa, Sri Lanka- aprile 2018
Occidentali in Asia
Come molti altri paesi del Sud-Est asiatico, lo Sri Lanka appare adatto e sicuro anche per viaggiatori solitari e, benché mi assalga un senso di profonda ingiustizia nel vedermi costretta a specificarlo, tanto per viaggiatori uomini quanto per viaggiatrici donne. Nel mio caso, il mio prezioso compagno di viaggio è stato un caro amico che presenterò come il Frasta. Devo ammettere che la compagnia di un uomo ha sortito un sensibile effetto rassicurante sul mio stato d’animo.
Chiunque abbia avuto la fortuna di viaggiare in Asia avrà infatti senza dubbio avuto modo di sperimentare la sensazione di sentirsi famosi senza esserlo: non è infatti infrequente che le persone locali, specie i più giovani, si fermino a scrutare incuriositi i turisti occidentali, per poi avvicinarsi loro per sollecitare, con garbo e gentilezza, lo scatto di un selfie, lo scambio dei contatti social, una chiacchierata.Al di là del piacevole contatto umano e dell’interessante scambio culturale, devo ammettere che tale atteggiamento, in alcuni casi, mi provoca disagio per due motivi:
- gli sguardi costanti e insistenti, benché benevoli, possono a lungo andare limitare la libertà di movimento: è relativamente a questo aspetto che viaggiare con un uomo può risultare confortante. Ma non è questa sensazione di limitata libertà, a tratti soffocante, che mi genera una morsa allo stomaco, quanto
- la triste consapevolezza che, in molti casi, l’atteggiamento di curiosità nei confronti di qualsiasi turista occidentale -che esula totalmente dal sesso, dall’età o dall’appetibilità sessuale dello/a stesso/a- appare sotto alcuni aspetti quasi reverenziale. E, soprattutto, che questa reverenzialità non sembra esser frutto di un interesse economico -come potrebbe essere comprensibile e legittimo- quanto invece l’espressione dell’atteggiamento consono nei confronti di chi, nella gerarchia mondiale, ha avuto la fortuna di collocarsi su un gradino superiore.
Ricevere un trattamento troppo ossequioso -immagino, appunto, per il mio status di turista occidentale- aveva l’effetto di generare in me un inconscio senso di colpa dovuto alla mia incapacità di trovare giustificazione a tanta devozione. E non si tratta di demonizzare la cultura occidentale, quanto invece di rifiutare la subordinazione di una cultura a un’altra, o meglio l’annichilimento dell’una per lasciar spazio al dilagare dell’altra, che mi sembra essere quanto sta accadendo in Asia tra cultura tradizionale e cultura occidentale.
A tal proposito, ho avuto modo di riflettere sul dilagante fenomeno del remote working, che sta a indicare l’opportunità, resa possibile dai mezzi digitali e dalla globalizzazione, di non dover vincolare la propria attività lavorativa a un luogo prestabilito, ma di poterla svolgere in qualsiasi parte del Pianeta. Sembra che ci siano dei veri e proprio hotspots presi di mira dai cosiddetti digital nomads: uno dei più gettonati in Asia è Bali, mentre in Sri Lanka la costa meridionale. Pur reputandomi fortunata di poter vivere in un’epoca in cui il remote working sia possibile, mi disgusta l’idea che, in molti casi, i benefici di tale fenomeno siano unilaterali. Trasferire il proprio lavoro in un paese in cui il costo della vita è un decimo rispetto al proprio, facendo surf nel tempo libero ma senza integrarsi o senza rendersi personalmente fonte di arricchimento e opportunità per la realtà locale, mi fa pensare, più che a una conquista dell’era della globalizzazione, a un mero sfruttamento di risorse, che, benché possa suonare anacronistico, non esiterei a definire un nuovo colonialismo.
Trenta bambini e la fiducia nell’umanità
Nel treno che percorre la costa sud-occidentale, durante la prima ora di viaggio da Colombo a Mirissa, il vagone da trentadue posti ospita settanta persone, di cui la metà circa sono bambini. Il ventilatore rotto non offre conforto dall’aria soffocante, e il mio malessere deve trasparire in maniera inequivocabile, dato che una signora, riposizionando i suoi due bambini sulle sue ginocchia, mi cede parte del suo sedile per

Treno in Sri Lanka -aprile 2018
farmi appoggiare. Guardandomi intorno, penso di essere l’ultima persona ad aver diritto di godere del lusso di una postazione seduta, ma la spossatezza mi fa accettare la nobile offerta.
Nel frattempo ripenso ad altri illuminanti episodi avvenuti durante questo viaggio, come quello della signora salita sul nostro pullman per restituirci la banconota che ci era caduta dalle tasche, o delle peripezie di cui si è reso protagonista il nostro co-autista (negli autobus asiatici è frequente imbattersi in questa figura che, in piedi accanto all’autista, supporta i passeggeri nelle rocambolesche fasi di salita e discesa dal mezzo), di notte e in montagna, per renderci più agevole e veloce l’arrivo a destinazione.
Rifletto e provo a domandarmi quello che succederebbe in situazioni analoghe, a parti invertite e latitudini diverse (per esempio, le nostre). La scoraggiante risposta che sono costretta a darmi è addolcita dal pensiero che tutti apparteniamo alla stessa specie, quella umana.
Respiro a pieni polmoni e m’impregno di fiducia nell’umanità.
Un bellissimo racconto che mi ha fatto rivivere le emozioni provate durante il mio viaggio. Avete scalato anche voi il Picco di Adamo! Per me è stata l’esperienza più significativa e toccante che consiglio a tutti coloro che intendono visitare questo Paese.
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Grazie Falupe!
Anche per me l’esperienza più commovente in Sri Lanka. Poi durante la discesa però piangevo dai dolori (per fortuna lo spaccio di banane) 😂
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